Un pomeriggio a casa CHIARA

Nella luce fioca della lampada al neon, salivo le scale che portavano al terzo piano, animata dalla curiosità, ma anche un po’ inquieta per l’imbarazzo del primo incontro. Ad accogliermi alla sede di CHIARA era stata la responsabile dei volontari, una ragazza dal piglio intraprendente che con la sua energia vitale, dopo avermi intervistatA, mi aveva invitata a visitare il fiore all’occhiello della associazione: la casa protetta, o meglio, la casa a progetto che accoglie donne, e donne con minori, costrette a fuggire da mariti o compagni violenti.

Ero davanti alla porta: ad accoglierci una ragazza giovanissima che avrà avuto vent’anni, timida, ma sorridente; con lei un’altra giovane donna marocchina, che subito si era affrettata a farci accomodare offrendoci un tipico tè alla menta, servito nella classica teiera d’argento, alta ed elegante,con un beccuccio lungo e sottile : sul fondo di ogni bicchierino, poi, aveva messo dei pinoli, prima di versarvi un  tè caldissimo e molto dissetante. Sorridevo per ringraziarla, perché avevo capito che non parlava la nostra lingua. I suoi occhi neri sembravano penetrare il mio sguardo, mentre nella mia mente, inevitabilmente, si accavallavano i pensieri più diversi.  In seguito, scoprii che aveva subito ogni sorta di violenza, ma ora sembrava serena mentre mi sorrideva e mi offriva un dolce alle mandorle. Con la coda dell’occhio mi era parso di scorgere un’ombra. Un bimbo. Piccolo, piccolo: di un paio d’anni, o forse meno.  Gli occhi non mentono: grandi, neri e penetranti. Qui tutti lo chiamano Giovanni, anche se non è il suo vero nome, è il figlio della donna marocchina. E’ bello come lei. E’ forte come lei. Mi chiama, a modo suo, vuole giocare. Ha con sé un libro con tanti animali e me li fa vedere tutti. Intanto la ragazza che ci aveva accolti all’ingresso, si è preparata per andare al lavoro. Fa la cameriera in un ristorante, ormai lavora da qualche tempo e tra poco sarà pronta per spiccare il volo con le sue giovani ali. Anche se giovanissima, ha sofferta già tanto, troppo.  Le ragazze di CHIARA, che nel frattempo ci hanno raggiunto, l’assistente sociale e la presidente, mi fanno capire che lei è la più piccola e dunqueanche la più coccolata …certo a parte Giovanni, a cui vanno le coccole della presidente che mentre parla con me se lo spupazza tutto. Al momento nella casa protetta vivono tre donne e un minore, ma le donne assistite sono molte di più: chi subisce violenza economica, chi psicologica, chi stalking, chi violenza sessuale. E poi ci sono i bambini, come Giovanni, quelli che non capiscono, ma che vedono la mamma picchiata e ne sentono le urla. Non capiscono e sono terrorizzati. Sono in mezzo alla guerra, quella guerra che loro perderanno di sicuro. Non hanno possibilità di scelta: sono lì, in mezzo.

Sono emozionata e curiosa, subisso di domande le ragazze di CHIARA. Mentre trascorro il pomeriggio in quella casa capisco che ciò che voglio è rendermi utile. Come? Non importa quanto tempo ho a disposizione, poco per la verità, la presidente mi fa capire che c’è tantissimo da fare, che tutte possiamo fare qualcosa, dall’aiutare le ragazze a fare la spesa alla caritas, all’accoglienza delle donne in difficoltà, al lavoro di ufficio, insomma: se mi rimbocco le maniche, e frequento i corsi di formazione, anch’io posso essere utile!

 

E così, quel pomeriggio di novembre, inizia il mio percorso di volontariato all’associazione.  Non sarà facile… non è mai facile avere di fronte il dolore, la disperazione, la rassegnazione di una donna che pensa di non potercela fare, che chiede aiuto, che grida ormai con un filo di voce tutto il suo disagio, perché stremata dalla vita. No, non è facile, ma lo dobbiamo fare, perché è così che deve essere. Perché ognuno di noi può fare qualcosa, anche tu che stai leggendo: quando senti urlare la tua vicina di casa e magari la vedi il giorno dopo con un occhio nero, e lei ti dice che è caduta, ecco allora puoi fare qualcosa…non essere indifferente.